Articolo di Elena Dusi pubblicato su La Repubblica il 21 luglio 2017
“ ROMA Stiamo diventando un pianeta di plastica. Dagli anni ’50 epoca del boom economico e anche di questo materiale – ne abbiamo prodotti 8,3 miliardi di tonnellate e gettati via 6,3 miliardi. Solo acciaio e cemento – fra i materiali artificiali – pesano di più sul nostro pianeta. È come se ognuno di noi ne portasse sulle spalle una tonnellata e passa. Il 79% di questo carico è distribuito nelle discariche o sporca città, campagne e mari. Il 12% è stato incenerito e solo il 9% riciclato. Il calcolo arriva da uno studio su Science Advances – il più completo mai pubblicato su questo materiale – scritto da ambientalisti e ingegneri delle università della Georgia e della California a Santa Barbara.
Tracce di plastica sono state trovate nei ghiacci antartici e nella fossa delle Marianne, a 10 chilometri di profondità.
Si stima che una tonnellata sia incorporata nel permafrost artico. Alle Hawaii nel 2014 è stato descritto un nuovo tipo di roccia: il plastiglomerato, in cui le alte temperature di un fuoco hanno fuso insieme pietra vulcanica, sabbia e plastica.
Sull’isola di Henderson, Pacifico del sud, 40 abitanti in tutto, il punto più lontano da ogni altra terraferma, le onde portano 3.750 frammenti di spazzatura al giorno, per la maggior parte buste e contenitori.
Chi sostiene che l’antropocene – l’epoca dell’uomo – sia una vera e propria era geologica, usa proprio l’argomento della plastica: fra milioni di anni, se mai qualcuno sarà in grado di scavare sottoterra, ne troverà quantità massicce.
I ricercatori americani si sono “divertiti” a tradurre questa cifra al di là dell’immaginabile (gli 8,3 miliardi di tonnellate) in termini più intuitivi. Il nostro mondo di plastica pesa come 1 miliardo di elefanti, 80 milioni di balenottere azzurre, 25mila Empire State Building e 822mila torri Eiffel. Se lo spalmassimo su tutta l’Argentina, ci affonderemmo dentro fino alle caviglie. La quota gettata via come rifiuto potrebbe seppellire Manhattan sotto due miglia di spazzatura.
Il pianeta di plastica è stato creato, per metà, negli ultimi 13 anni. E se l’andamento della produzione proseguirà in maniera esponenziale come ha fatto finora, la massa raggiungerà i 34 miliardi di tonnellate nel 2050, di cui 12 sotto forma di rifiuti. Se nel 1960 questo materiale riempiva solo l’1% del nostro sacchetto della spazzatura, oggi siamo arrivati al 10%. La produzione che nel 1950 era limitata a 2 milioni di tonnellate oggi è schizzata a oltre 400, più di 300 delle quali viene buttata via nello stesso anno in cui è stata fabbricata. Il ritmo con cui sforniamo plastica è cresciuto due volte e mezzo più rapidamente del Pil mondiale.
In mare, ha calcolato sempre lo stesso gruppo di scienziati due anni fa, finiscono attualmente 8 milioni di tonnellate, macerate dal sole, ridotte in microplastiche, ingerite dai pesci.
Uno studio su Plos nel 2014 stima che il numero di frammenti galleggianti in tutti gli oceani del mondo raggiunga i 5 trilioni.
«La stragrande maggioranza di questi materiali in realtà non si biodegrada in modo significativo» spiega Jenna Jambeck, ingegnere dell’università della Georgia, fra gli autori dell’impressionante studio, evidentemente poco convinta della bontà delle plastiche ecologiche. «I rifiuti che abbiamo prodotto ci accompagneranno con tutta probabilità per centinaia o migliaia di anni». Pochi uomini ormai ricordano com’era il mondo prima della diffusione ubiqua di questo materiale.
La facilità di produzione e l’indistruttibilità (solo un trattamento termico particolare riesce a eliminarla davvero) sono state le molle del successo della plastica, dal punto di vista industriale. E del disastro, dal punto di vista ambientale. E se è vero che acciaio e cemento ancora la surclassano in termini di tonnellate prodotte, il coordinatore dello studio Roland Geyer, ecologista industriale, professore dell’ateneo californiano, precisa: «Metà dell’acciaio che fabbrichiamo serve a costruire edifici e resta utile per decenni. Per la plastica è il contrario. Metà di quella creata diventa scarto dopo meno di quattro anni di utilizzo”.
Il 42% della produzione mondiale finisce in packaging e viene buttata via subito dopo il consumo. Il riciclo potrebbe essere una soluzione. Ma i tassi di riutilizzo arrivano al 30% e al 25% rispettivamente in Europa e in Cina. E non superano il 9% negli Stati Uniti. Questo accade da anni, ben prima che alla Casa Bianca arrivasse Donald Trump.”
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